Nemici (IV e ultima parte)

(Puntate precedenti: qui la prima, la seconda e la terza.)

Facemmo ancora qualche passo, immersi in quella quiete innaturale. Ci fermammo davanti a un’arcata di proporzioni ciclopiche, che passo dopo passo conduceva nell’oscurità di una gigantesca costruzione.

Fu allora che lo udimmo. All’inizio lo scambiammo per il vento, ma fu quando aumentò di volume che ci rendemmo conto che proveniva dalla cassa che portavamo con noi. Inorriditi, la aprimmo.

L’Oggetto stava vibrando. Non saprei come altro descrivere quella pulsazione innaturale, come se stesse rispondendo a qualche segnale che, forse, avevamo inavvertitamente allertato mettendo piede in quel luogo.

E poi udimmo l’altro suono. Allora lo associai al vociare ed al clangore di un campo di battaglia: ma nulla poteva prepararmi a ciò che avvenne dopo.

Immaginai che la fonte del rumore fosse quello che credevo l’esercito della Città. Non avendo alcuna intenzione di incontrarli da vicino, ci voltammo nella direzione da cui eravamo venuti e cominciammo a correre, mentre il clamore dietro di noi si faceva sempre più forte.

Fu quando eravamo a metà strada tra gli edifici e la frana che Lua si accorse che avevamo lasciato indietro l’Oggetto. Fece per tornare indietro a prenderlo, ma la trattenni per un braccio.

Cosa credi di fare?” gridai.

Nel mio villaggio per ladri c’è la morte. Noha li avrà già avvertiti. Se non riportiamo la cassa, ci uccideranno.” disse fissandomi negli occhi. Si divincolò con uno strattone e, prima che potessi fermarla, si mise a correre verso l’oggetto.

Proprio nell’istante in cui Lua raggiungeva la cassa, uscirono dagli alberi. Non c’è da meravigliarsi se Noha non aveva trovato scheletri vicino all’Oggetto: probabilmente queste cose non ne avevano uno. Le leve, i tiranti, tutta l’arcana geometria dell’oggetto acquistava un senso, alla luce dell’anatomia degli orrori che stavano circondando la povera ragazza. Ogni molliccia protuberanza si adattava perfettamente al meccanismo, di cui ognuno di quegli esseri spugnosi portava un esemplare.

Avevo compiuto la mia missione. Dovevo trovare la città, e l’avevo fatto. Dovevo constatarne la potenza militare, ed era quella che stavo testimoniando, mentre assistevo impotente alla crudele dissezione di Lua. Nelle mani – che mani non erano – di quelle creature, quelle armi terribili erano come strumenti musicali, che suonavano una raffinata melodia di morte. Ogni muscolo, ogni tendine, ogni tessuto veniva delicatamente separato e reciso, in un turbine di lame e punte acuminate. Riuscii a scuotermi e a fuggire in preda al panico, mentre nelle mie orecchie risuonavano le grida di una Lua ancora viva.

Delle ore successive ricordo solo la fuga disperata verso valle, giorno e notte, senza mai fermarmi. Il primo pensiero coerente è stato due giorni fa, quando ho raggiunto il villaggio ai piedi delle montagne. Non c’era più traccia di Noha né degli altri abitanti. Immagino che avesse previsto cosa sarebbe successo, e che la mia pazzia avrebbe scatenato qualcosa di terribile. Raccolsi acqua e provviste, e ripresi la fuga.

Portando l’Oggetto nella Città mi sono condannato ad essere il bersaglio di quelle creature, che vivono per uccidere. Non puo’ essere altrimenti, dopo che li ho visti assalire Lua. Spero solo che sia svenuta per la perdita di sangue, mentre si accanivano sul suo corpo.

So che non raggiungerò mai Alessandro. Il mio cavallo è morto di stanchezza due giorni fa, e ho trovato rifugio in una caverna in cima ad una collinetta. Ho cibo per un solo giorno.

Mio Sire, se mai leggerai queste righe, sappi che prego gli dèi che tu non abbia mai a incontrare queste creature. Con un po’ di fortuna, starai già tornando in Macedonia.

Dalla cima della collina vedo la pianura rischiarata dalla luce della luna. Il vento fa ondeggiare le cime delle piante.

Per gli dèi! sono centinaia!

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